DISCLAIMER
Questa recensione sarà molto lunga e con una componente didattica al limite della pedanteria, perché ho l'impressione che molte persone non sappiano cosa sia e quali logiche economiche stiano dietro un ristorante di questa categoria; comunque sia il voto espresso in cappelli è decisamente fuorviante in questo caso: avrei potuto dargli uno come cinque, ma non sarebbe stato corretto, ho quindi fatto una media, cercherò di spiegare più estesamente cosa veramente io pensi di questo ristorante.
LE PREMESSE
Allora… l'Osteria Francescana è quello che si definisce un ristorante gastronomico, il più concreto indice di differenza tra un ristorante normale e un ristorante gastronomico è il rapporto tra personale e coperti: la “linea”, cioè l'equipe di cuochi di un simile ristorante è generalmente costituita da un primo chef, un sous-chef e da un certo numero di “partite”, cioè di sezioni dedicate alle varie tipologie di piatti (primi, carni, pesci, dolci etc.) composte ognuna da un capopartita e da un certo numero di commis (i cuochi semplici che preparano la base dei piatti che verranno rifiniti dai capipartita e dagli chef) diverso a seconda del numero di coperti in sala (non ho potuto vedere bene il numero di coperti della Francescana, ma mi sono parsi tra i 20 e i 30, cosa che lo rende un ristorante di medie dimensioni, per la categoria, non sono però abbastanza esperto da sapere quante partite e quanti commis per partita abbia); poi ovviamente ci sono i camerieri e almeno un sommelier, gli stipendi di tutte queste persone è la prima causa del costo dei pasti in questo tipo di locali. L'eccellenza delle materie prime, il costo degli arredamenti e della sala e la necessità di mantenere una cantina di altissimo livello (col rischio probabile di non vendere e quindi far andare a male bottiglie costosissime) sono le altre. Tutti coloro che trovano sbalorditivi e vergognosi i prezzi dei ristoranti di questo tipo dovrebbero tenere presente tutto ciò. Si sappia che molti di questi ristoranti non riescono comunque ad andare in pari con il costo delle pietanze, e devono la sopravvivenza ai ricarichi sul vino e, sempre più spesso, grazie a tutto l'indotto che il nome di uno chef veramente famoso riesce a generare: conserve di qualità , libri di ricette, attrezzi da cucina firmati, nei casi peggiori linee di piatti pronti; in pratica la sopravvivenza del ristorante Vissani (pochissimi coperti) è garantito da coloro che comprano il set di coltelli firmato Vissani, più che dai clienti del ristorante, faccio notare che generalmente le due categorie non coincidono proprio.
Io sconsiglio vivamente di accostarsi a questo tipo di locali e di cucina quando non si sa a cosa si va incontro, sia per il tipo di accoglienza, sia per il cibo, sia ovviamente per la spesa, il conto finale. “L'iniziazione” dovrebbe avvenire in un locale non troppo caro e di alta cucina ma legata alla tradizione, con una sola stella Michelin, per intenderci; purtroppo io non so bene dove questo possa avvenire in Italia: per me è stato, nel 2000, in Francia. Un tempo a Modena c'era Fini, che poteva fungere allo scopo, ma io non ci sono mai stato e leggo pressoché ovunque, dalle guide blasonate a questo stesso sito, che il ristorante sta passando un pessimo periodo, sia per il cibo che per il servizio, quindi lo escluderei. In regione però ci sono parecchie “stelle” disseminate sul territorio, qualcuna risponderà di sicuro alle caratteristiche richieste. Bottura no, la sua cucina è troppo estrema, necessita un palato già allenato.
L'AMBIENTE
Tornando alla Francescana, l'ambiente è del tipo chic minimale: pareti grigie, quadri astratti alle pareti, poltroncine di pelle, tavoli tutto sommato non immensi e forse un po' vicini, considerato il tono (in certi ristoranti la distanza è tale che non si riesce proprio a sentire cosa venga detto anche al tavolo più vicino, va detto che l'ambiente spinge in genere a parlare sommessamente, il che funziona persino su di me che ho una voce stentorea). Sabato sera noi siamo stati fatti accomodare nella saletta piccola, che presenta quadri particolarmente monotoni: bianchi con un unico punto di colore in centro; l'illuminazione è ben congeniata, riposante, le poltroncine abbastanza comode (non è mai agevole, invece, sedersi mentre ti aggiustano la medesima sotto le natiche, servizio irrinunciabile per il tipo di posto). Generalmente l'ambiente conta molto poco nella mia personale valutazione di un ristorante, è invece abbastanza importante per le guide gastronomiche, che sono fondamentali per i locali stessi: senza una buona valutazione sulle principali, nessun ristorante del genere può sopravvivere. Si arriva alle assurdità come quella di Bernard Loiseau, lo chef più di moda in Francia nella seconda metà degli anni '90 e all'inizio del secolo, onnipresente in televisione, che si è sparato nel 2003 perché aveva perso 2 punti (da 19 a 17) sulla guida Gault-Millau e si vociferava potesse perdere la terza stella Michelin (cosa che non è poi accaduta, e pare non fosse nelle intenzione degli editori della guida). L'apparecchiatura prevede numerose tovaglie lunghe fino al pavimento, sottopiatti e posate in argento, piattino per il pane, olio da degustare (oltre le Alpi, ma in genere anche oltre il Po troviamo il burro) e sicuramente un vaso con dei fiori, che però io proprio non ricordo (anemoni, mi viene detto), la cristalleria è Spigelau, che a mio parere è un po' meno ideale di quella Riedel per degustare il vino (le due marche si contendono la quasi totalità dei ristoranti di questo tono), i piatti in cui verranno servite le pietanze si dimostreranno generalmente sobri (porcellana, in Francia predomina il vetro artistico), tondi o al massimo rettangolari, niente triangoli o poligoni irregolari.
IL SERVIZIO
Il servizio è quello standard del tipo di locale: onnipresente, vagamente soffocante per chi non è abituato (per intenderci: non ci si può versare da soli le bevande nei calici, costantemente riportati a livello, se ci si alza si viene accompagnati alla toilette- non qui, ma in alcuni casi estremi aspettano fuori che tu abbia finito per riaccompagnarti- e nel frattempo ti cambiano il tovagliolo), molto efficiente (almeno nel mio caso, trovo inaccettabile quello che è capitato a “livi”… spero ci fossero dei seri problemi tipo un principio d'incendio in cucina o che un cameriere avesse problemi sentimentali e non che abbiano giudicato la comanda insufficiente e quindi i clienti di serie B, sarebbe vergognoso), anche se va da sé che un pranzo in simili posti dura alcune ore… è parte del suo bello, però non si deve stare mai per più di 10 minuti senza qualcosa nel piatto. Nota: alle signore viene presentato una carta senza i prezzi per i piatti, ma provvisto del prezzo dei menu degustazione… prezzo solo indicativo del resto, come leggerete se arriverete in fondo. Del sommelier parleremo più avanti.
Ã? Bottura stesso che prende tutte le comande (cosa che avviene solo in posti particolarmente piccoli, in alcuni lo chef passa sola a salutare e in altri non si fa vedere), questo rallenta un po' la fase iniziale, e mi rende difficile dire se ci sia un vero e proprio maître di sala, quando c'è è una figura importante, deve scambiare quattro parole con quei clienti che lo desiderano, e rispondere di qualunque dissesto nel servizio o alle richieste particolari dei clienti… nei casi migliori dovrebbe essere un po' psicologo e calibrare l'atteggiamento sulla personalità del cliente: chi vuole gelida correttezza impersonale sia trattato di conseguenza, per chi cerca l'aneddoto o addirittura la battuta si tratta di diventare più amabile (quello che è stato insignito dal premio il maître dell'anno dall'ultima guida dell'Espresso è arrivato a sghignazzare appoggiato alle mie spalle, ma è un caso limite). Lo chef in scarpe da tennis si dilunga un po', ma nel nostro caso avevamo le idee chiare: volevamo il menu degustazione “le sensazioni”, quello più esteso ed estremo, ci ha illustrato qualcuno dei piatti e abbiamo concordato l'inserimento di uno non necessariamente previsto (questo potrebbe aver avuto ripercussioni sul conto, come si vedrà ), ho apprezzato che, dopo la descrizione dei piatti ci abbia posto una domanda del tipo “sono cose del genere che volete?” Insomma: eravamo consci di quello cui andavamo incontro, e sicuri di non volere lasagne e salsicce, vero? Non che ci sia nulla del genere in carta, ma forse il menu “i classici” (del ristorante, non della cucina modenese) è un po' meno traumatico per chi non abbia le idee chiare.
IL CIBO
Qui entriamo nel punto fondamentale e più complicato. Cominciamo col dire che si tratta indiscutibilmente di alta cucina, però è di tipo decisamente sperimentale: si potrebbe inserire nel filone della “cucina molecolare”, che ha come padre nobile il catalano Ferran Adrià , di cui il nostro Massimo è stato allievo, a quanto apprendo; è una cucina che prevede una manipolazione quasi totale degli ingredienti, investendo temperature, consistenze e lo stesso stato fisico della materia prima, sfruttando tecnologie da laboratorio, lo strumento simbolo di questa cucina è il sifone, che serve a rendere spuma anche, per dire, il parmigiano, l'aglio o altre concretissime materie. Lo scopo è esaltare i profumi e i sapori svincolandoli da quelle che sono le forme che generalmente li veicolano, spiazzare il degustatore e generare sorpresa (all'inizio è stata salutata con entusiasmo da una critica già stufa delle ormai vecchie innovazioni della nouvelle cuisine), nel caso migliore non ci si prende troppo sul serio e si predilige un incontro ludico col cibo. In ogni caso Bottura non è Adrià , e la moda del sifone sta decisamente calando. Per fortuna, aggiungo io, perché personalmente trovo la cucina molecolare una influenza quasi nefasta nel mondo della gastronomia, un'avanguardia fredda. Ma in parte è questione di gusti e di poetica: con le dovute differenze è come apprezzare meno Mondrian rispetto a Francis Bacon, io preferisco chef che non valicano certi confini e giocano più sugli accostamenti e le cotture, che sulle manipolazioni materiche, oppure quelli che le usano con più parsimonia; vi assicuro che si può essere di uno sperimentalismo estremo rimanendo di una solidità totale.
Non starò a recensire tutti i (minuscoli, ma è ovvio) piatti, anche perché rischierei di dimenticarne alcuni; dirò solo che erano tutti interessanti, ma ad arrivare a emozionarmi (nel migliore dei casi l'alta cucina è un esperienza- non mistica, si parla di cibo- ma quasi artistica o amorosa, ci si commuove, si sogna, si ride e si rimane beati con un sorriso vagamente ebete sul viso) sono stati solo due piatti (non a caso tra i meno estremi): un cucchiaio di porri lentamente cotti in casseruola con tartufo bianco, morbido, profumato, intenso, e il pralinato di fegato grasso, all'aspetto una specie di minuscolo gelatino su stecco, in cui la granella di nocciole e mandorle racchiudeva del morbidissimo fegato grasso (non so se fosse oca o anatra) con al centro una goccia della maggior gloria modenese, vero aceto balsamico stravecchio (si trattava proprio del piatto non previsto ma suggerito dallo chef). Un po' troppo pesce crudo o non-cotto (cotto all'istante in un bicchierino di acqua pazza e olio, affumicato per pochi secondi, trasformato in vari modi) per cominciare, poco giusta, a mio avviso, la mancanza di un piatto di pasta o riso (siamo pur sempre in Italia, mi è capitato anche di assaggiare dei bucatini all'amatriciana, presentati fuori programma in un menu che già proponeva un risotto, da uno degli chef più famosi dello Stivale), la cosa più simile a un primo era una crema di aglio dolce con tartufo nero, lumache e altro, un piatto che voleva mimare “il sapore della terra”. Più solida la carne di bianca modenese, comunque cotta lentamente sottovuoto, accompagnata da una crema di zucca e altre complesse salse che ora non ricordo, però non veramente memorabile (appunto…); buoni e più cauti i dolci apprezzati specialmente dalla mia compagna, più insoddisfatta di me della cena in generale, e si tratta della fidata complice di tutte (meno una) le mie esperienze di alta cucina, dotata di un olfatto (e quindi di un palato) più acuto del mio, giocati un po' sull'effetto “amarcord”, come nel mini panino fritto alla nutella, niente gelato d'olio d'oliva, melanzane cristallizzate allo zucchero o gelatina di cocacola, tutte cose da me provate, per dire che anche sul dolce si può provocare. Eravamo sazi, non strapieni (in alcuni di questi posti, specie in Francia dove non rinunciano al carrello dei formaggi, può capitare letteralmente di non farcela più) ma certo non avremmo voluto di più.
IL VINO
Veniamo a uno dei capitoli più positivi in assoluto, ho dato un'occhiata alla pesantissima carta dei vini, ma più per curiosità che per altro: sapevo cosa chiedere al sommelier, una selezione dei vini al calice che si accordasse con il menu “le sensazioni”. Ã? uno dei pochissimi campi in cui l'Italia è più avanzata della Francia, dove i sommelier restano molto legati all'idea di venderti una bottiglia intera, e al calice generalmente sono presenti solo un paio di vini per tipologia, tra i meno significativi; probabilmente è stata fondamentale l'influenza dell'Enoteca Pinchiorri, fatto sta che nei nostri grandi ristoranti sono più che disposti a rispondere a questa esigenza (fortissima quando si va a mangiare da soli), e conviene decisamente: si beve di più, meglio, con più varietà (ovvio) e generalmente spendendo meno. Anche qui il fisicamente minaccioso e molto competente sommelier ha risposto prontamente, e molto bene. Iniziamo con due calici di spumante Annamaria Clementi Ca' del Bosco, non amo soverchiamente ciò che fa bolle, ma è un inizio classico che funziona, il meglio seguirà ; a partire da un paio di bicchieri a testa di un riesling kabinett della Mosella, scelta che mi è molto piaciuta, essendomi il patrimonio vinicolo tedesco ancora piuttosto sconosciuto, e molto mi incuriosisce, si trattava di un vino veramente sorprendente, “mazzo di fiori e benzina”, come l'ha descritto correttamente chi ce lo versava nei calici. Viene ora il dominatore della serata, un fantastico bianco goriziano, che è stato stappato espressamente per noi e la cui bottiglia è stata alla fine posta sulla nostra tavola, insomma una bottiglia interamente per noi, che non abbiamo completamente terminato solo perché per la carne è arrivato il rosso (avrei potuto chiedere di portarmi a casa la bottiglia, ma ho esitato), un vino splendido per colore, profumi e sensazione in bocca, tutto spezie e sontuosità . La vista del rosso mi ha riempito di gioia: si trattava di un Borgogna (per quanto una semplice appellation regionale e non comunale, come dire un nebbiolo Piemonte anziché un Barolo), la zona che io pongo sopra qualunque altra al mondo, certo sopra al Bordeaux, ma anche a qualunque italiana. Purtroppo il vino era ancora molto giovane, e faticavo a sentire le rose e le violette che il pinot nero della Côte d'Or sa regalare (lasciando stare le note animali e di terra, impensabili in un vino tanto giovane), anche se il naso fine della mia compagna le avvertiva nettamente e con delizia; qui la bottiglia era già aperta e quasi terminata, e c'è stata lasciata. Con i dolci un'altra meraviglia che veniva incontro alle mie curiosità : un Eiswein, un vino cioè in cui i grappoli vengono vendemmiati a dicembre inoltrato e gelano concentrando gli zuccheri, prodotto nel piacentino, dalle dolci e ricche note di tè e frutta secca, un nettare già servito evidentemente a molti altri tavoli, che anche in questo caso ha finito la sua serata da noi, permettendoci di averne due bicchieri a testa. A conclusione di tutto io ho preso un Glen Garioch di 17 anni, buono, ma ha pesato troppo la mia intenzione di voler bere un whisky che non compare mai a casa mia, nomi a me più consueti mi avrebbero dato maggior soddisfazione. In tutto l'equivalente di più di due bottiglie di vino. Il sommelier era del tipo loquace, generoso di particolari e competente, se però gli si vuole trovare una pecca non era bravissimo a sintonizzarsi con le differenti persone e variare il tono del discorso, ripeteva quanto sapeva senza adattarsi a pieno al modo d'interloquire dei clienti (e i loro diversi livelli di competenze), sebbene ci si provasse.
IL CONTO
Ci siamo. Comincerò con la cifra, secca, poi lo analizzerò nei dettagli e infine difenderò il diritto del ristoratore a proporlo e mio di pagarlo.
400 euro tondi in due.
Così divisi: due menu da 140 l'uno (280), 10 di coperto (290) 10 di acqua (300) e 100 di vino, digestivo offerto oppure dimenticato, niente caffè, a me fa schifo e la mia compagna non lo beve alla sera.
Nella carta il menu “le sensazioni” era dato “a partire da 120 euro”; mi chiedo: i 20 in più a testa erano solo per il pralinato di fegato grasso? Un po' caro, allora, d'altronde è stato uno degli assaggi che più mi è piaciuto. Il coperto è una pessima abitudine, in posti di questo tipo andrebbe eliminato, va detto che le diverse qualità di piccoli panini e i grissini erano eccellenti, e l'olio di loro produzione un po' forte ma profumatissimo. Su un conto del genere 10 euro pesano poco o niente, ma proprio per questo si potrebbe ometterlo, per lo meno per chi prende un intero menu degustazione (invece servire un piatto solo, e in alcuni casi anche due, è in perdita per questi locali, che impegnano comunque un tavolo per tutto il pasto, non esistono i doppi e tripli servizi di altri luoghi). Le bottiglie d'acqua sono state due, cinque euro a bottiglia è il prezzo standard per il genere di locale, va però detto che non abbiamo chiesto la seconda, semplicemente ce l'hanno portata finita la prima (in realtà non si vedono le bottiglie, sono versate in lunghe caraffe cilindriche), anche qui sogno il posto che l'acqua la regali: mi è successo in un posto in cui avevo espressamente richiesto acqua del rubinetto, non concepivano di servirla, ma non mi hanno fatto pagare l'acqua minerale naturale che mi hanno portato.
I cento euro di vini sono stati i meglio spesi, 50 euro a testa sono un prezzo abbastanza consueto per una degustazione abbinata a un vasto menu, e qui la selezione era ottima e la quantità abbondante: ripeto, l'equivalente di più di due bottiglie, e in carta erano ben poche le etichette sotto i 50 euro, e non di quel livello.
Con tutto questo so che per molti sembra fantascienza o crimine, ho cercato di spiegare i motivi che quasi obbligano i ristoratori del genere a imporre prezzi simili, pochissimi fanno eccezione: in Francia Senderens che però ha tagliato su servizio e ambiente, proponendo alta cucina in una sala da bistrot con tavolini piccolissimi, vicinissimi e senza tovaglia, e in Italia, mi dicono, Pierangelini al Gambero Rosso, non ci sono ancora mai stato e quindi ignoro come faccia, in entrambi i casi un pasto completo costa circa la metà , sui cento a testa. Voglio far notare che molti ristoranti presentano conti che si avvicinano a queste cifre offrendo del cibo ordinario se non banale e un servizio affrettato, uno di questi lo posso vedere dalla mia finestra, con il contorno di SUV, macchine sportive varie e alle volte limousine da mafia russa posteggiate magari in doppia fila davanti.
Più difficile giustificare la nostra spesa, perché siamo tutt'altro che ricchi, anzi io statisticamente potrei venire incluso negli italiani a rischio povertà , sono un precario spesso disoccupato e la mia compagna è insegnate di liceo (conoscete- confido- gli stipendi vergognosi, i più bassi d'Europa); ma è un vizio che entrambi abbiamo, che viene soddisfatto circa tre volte all'anno (e alle volte a prezzi più contenuti, un bel 200 in due in ristoranti con una sola stella Michelin) e vorrei chiedervi: quanti di voi fumano? Quanto spendete all'anno in sigarette? Conoscete qualcuno che si definisca “troppo povero per fumare”? Queste cifre sono spese a cuor leggero quando l'esperienza è veramente memorabile. Purtroppo alla Francescana non lo è stato, le papille gustative non si sono messe a cantare l'Alleluia, ma va aggiunta una nota finale che la dice lunga sulla capacità di capire i clienti di Bottura: al momento di uscire stringendoci la mano ha detto “spero che vi siate divertiti”, bravo, ha capito di non averci conquistati a pieno e non si è preso troppo sul serio, insistendo sul carattere sorprendente e giocoso della sua cucina.
Sì, ci siamo divertiti, un divertimento un po' caro, ma nel nostro carnet di ristoranti come esperienza particolare ci può stare, e ne riparleremo tra noi per dei mesi, confrontando con altre esperienze, trovando nuova intesa nel giudizio sostanzialmente concorde.
CONCLUDENDO
Il ristorante Osteria Francescana è consigliato solo per:
1) chi cambia il SUV ogni anno, anche se non capisce niente di cucina e il cibo non gli interessa, è giusto che paghi la sua tassa a uno di questi sperimentatori che comunque portano stimoli interessanti nel panorama della cucina italiana, non fosse che per contrasto;
2) chi si diverte come un matto a sperimentare cose inaudite, ama le provocazioni e vuole fare un'esperienza limite nel panorama gastronomico italiano, e magari poi raccontarlo in giro "per vedere (di nascosto) l'effetto che fa";
3) chi ha già provato più volte con soddisfazione l'alta cucina, sa cosa può trovarvi e vuole provare una tendenza, la cucina molecolare, senza spingersi sino a El Bulli in Catalogna, per scoprire magari che, a differenza del mio caso, è proprio quello che cercava e non aveva ancora trovato.
Sconsigliato decisamente a tutti gli altri: si possono fare una decina di ottimi e garantiti pasti, a Modena, per la stessa cifra.
Consigliato!
[Piggo]
13/02/2008
Ti dirò che Bottura lo preferivo di gran lunga quando gestiva la trattoria al Campazzo, sperimentazioni moderate, conto civile.
Ad una cucina sperimentale, provocatoria e ludica, proporrei un pagamento con euro destrutturati e magari sifonati quel tanto da divertire....